Bruno Vespa e la fuga dell’ambasciatore italiano in Afghanistan: “Perché Draghi l’ha richiamato subito”, il più inquietante degli scenari

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21 agosto 2021 a

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Bruno Vespa è incredulo: come abbiano fatto gli americani a farsi rubare dai talebani il loro arsenale è difficile anche solo da pensare. “Il bottino di duemila mezzi blindati, di una quarantina di elicotteri e aerei, di visori notturni, di droni militari e di chissà quante armi leggere negli arsenali americani in Afghanistan supera nella nostra memoria storica le peggiori rotte dell’Asse nella guerra d’Africa contro gli inglesi”, scrive il direttore di Porta a Porta nel suo editoriale su Il Giorno. “Biden teme che questo arsenale possa rivolgersi contro la popolazione civile o finire nelle mani di terroristi, se non della Cina. Ma il fatto che egli non lo abbia saputo difenderlo o distruggerlo dimostra con quale grado di paurosa leggerezza e incompetenza l’amministrazione americana abbia gestito il ritiro dal paese occupato vent’ anni fa dopo la strage delle Torri Gemelle”.

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Vespa spiega anche che “l’ambasciatore Sandalli è rientrato subito, come i suoi colleghi europei”, perché “Draghi ha voluto evitare il rischio di un nuovo caso Attanasio. Un omicidio o un rapimento sarebbero stati insostenibili. Resta all’aeroporto di Kabul un console giovane e bravo che ha un compito molto arduo. Gli afghani che chiedono di rientrare in Italia sono circa 4000: sono selezionati uno per uno, ma non a tutti sarà consentito di rientrare. Il console, sostenuto dall’intelligence e da una protezione adeguata, fa un delicato lavoro sottotraccia: nessuno riconosce i talebani, ma loro sono i padroni e decidono alla fine se quelli che noi decidiamo di far partire possono farlo”.

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Conclude Vespa: “Molti soldi occidentali sono finiti in tasca a corrotti e i talebani, grazie all’oppio, hanno potuto pagare i militari molto di più dei 120/150 dollari al mese degli occidentali. Perciò si sono arresi senza combattere. L’opinione pubblica italiana e occidentale è da anni contraria alla presenza di miliari all’estero. Ma se l’Afghanistan è stato un fallimento per l’Occidente, non ci si illuda che con il crollo in 10 giorni della difesa afghana la sicurezza internazionale sia la stessa di prima”. Uno scenario inquietante.

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Afghanistan, nella nostra ambasciata a Kabul al macero le carte top secret

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Domenica 15 Agosto 2021, 08:12 - Ultimo aggiornamento: 17:53

Alle tre di pomeriggio di ieri, ora afghana, l’ambasciata italiana a Kabul ha iniziato a distruggere i documenti riservati e classificati. È il primo step. Il nostro corpo diplomatico si prepara a lasciare rapidamente l’edificio in Great Massoud Road. L’obiettivo è raggiungere il vicino aeroporto, distante poco più di 5 chilometri. Qui potrebbe proseguire il lavoro dell’ambasciatore Vittorio Sandalli e dei suoi più stretti collaboratori. Intanto stanotte partirà da Kabul un aereo dell’Aeronautica militare per rimpatriare tutti i nostri connazionali che sono stati allertati con una mail dall’ambasciata. Lo scalo è controllato dai turchi. Anche Ankara sta valutando il trasferimento dei diplomatici nell’aeroporto, così come i francesi, gli inglesi e gli americani. «Ci stiamo preparando ad ogni evenienza, anche quella dell’evacuazione. Dobbiamo pensare alla sicurezza del nostro personale», ha spiegato il ministro degli Esteri Luigi Di Maio.

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Gli americani

Lo scenario, in una realtà complessa come Kabul, potrebbe cambiare rapidamente. Basti pensare che fino a giovedì il piano italiano prevedeva lo spostamento del nostro staff nella vicina ambasciata americana. Poi gli Usa hanno deciso di puntare sullo scalo, determinando un cambio di destinazione anche per il nostro Paese. Insomma il modo in cui lasciare la sede, evacuarla e anche dove andare dipendono da come i Talebani entreranno oggi a Kabul. Per esempio, fino a ieri sera, i 5 chilometri di strada che portano dall’ambasciata all’aeroporto erano valutati come sicuri. Già stamattina il quadro potrebbe modificarsi e richiedere, per gli spostamenti, i servizi di scorta dei corpi scelti dell’esercito italiano.

Intanto i primi contingenti degli oltre 3.000 soldati americani mobilitati per aiutare ad evacuare l’ambasciata americana di Kabul sono arrivati ieri all’aeroporto. Altri 4.000 marines sono pronti ad intervenire dalle basi nel Golfo. Altre 600 teste di cuoio britanniche sono in arrivo. Si tratta dei militari della 16ma Brigata aerea di assalto. Come confermato dal ministero della Difesa di Londra che prenderà parte all’operazione, che faciliterà anche il trasferimento del personale e gli interpreti afgani loro collaboratori.

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Il dramma

Sono invece molto complesse le operazioni per portare a Roma gli afghani che hanno lavorato con l’Italia. In patria rischiano la vita, ma chi si trova lontano da Kabul, l’unica città da cui ad oggi si può partire, è in oggettiva difficoltà. Con l’operazione Aquila 1 sono state già evacuate 228 persone, con Aquila 2 sono pronte a partire in 390. Ma la maggior parte di loro si trova ad Herat. La città è in mano ai fondamentalisti islamici e chi ha lavorato con gli occidentali potrebbe essere giustiziato. Per loro l’unica chance è raggiungere nel più breve tempo possibile la capitale del Paese. Ma come fare a spostarsi in un Afghanistan in mano ai Talebani? Stessa situazione che attraversano 335 famiglie che hanno avuto rapporti con il nostro contingente militare (un totale di 2.000 persone). La loro posizione è al vaglio delle autorità italiane, ancora non è stato deciso se potarli a Roma o meno. Tuttavia, anche queste persone, si trovano ad Herat. Più fortunati sono invece i 430 afghani che hanno collaborato con il ministero degli Esteri e la cooperazione italiana. Quasi tutti vivono a Kabul, ad eccezione di una novantina che si trova a Herat. Perciò la rapidità inaspettata dell’evoluzione della situazione è un tema che ha condizionato la nostra strategia sui rimpatri. «I collegamenti con Kabul sono più pericolosi ma la pianificazione è stata modificata e aggiornata ora dopo ora. C’è un impegno massimo per trasportare in Italia chi ha collaborato con noi. Un impegno morale prima che politico. Già in 228 sono giunti in Italia e ora si sta lavorando per accelerare i trasferimenti degli altri, tra cui gli interpreti e i loro familiari. Sono stati amici dell’Italia e li porteremo con noi», promette il ministro della Difesa Lorenzo Guerini.

Afghanistan, chi è Pontecorvo, l’uomo chiave della Nato a Kabul- Corriere.it

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di Marta Serafini

Ex ambasciatore italiano in Pakistan, sta gestendo la crisi nella capitale afghana per conto dell’Alleanza Atlantica e ha scelto di restare a Kabul

In queste ore è l’uomo chiave che sta gestendo le fasi concitate e cruciali del passaggio di potere a Kabul per conto della Nato di cui è Senior Civilian Representative in Afghanistan dal giugno scorso.

Nelle ore drammatiche dell’assalto agli aerei, Pontecorvo è all’aeroporto e gestisce una situazione dalle difficoltà senza precedenti. Su Twitter posta immagini e video. Nell’ultimo post informa come la situazione nello scalo stia tornando alla normalità.

Runway in HKIA #Kabul international airport is open. I see airplanes landing and taking off #Afghanistan pic.twitter.com/9nueT20G7W — Stefano Pontecorvo (@pontecorvoste) August 17, 2021

Nato a Bangkok nel 1957 ha iniziato la sua carriera in diplomazia dal 1985. Dal 2013 al 2015 ha lavorato in qualità di consigliere diplomatico del ministro della Difesa italiano, operando su questioni politico-militari della Nato, incluso l’Afghanistan. Tra i suoi precedenti incarichi figura quello di vice capo missione presso le ambasciate d’Italia a Londra e Mosca. Ha una grande esperienza nella regione ed è stato ambasciatore d’Italia in Pakistan.

Nonostante i gravi disordini verificatisi tra il personale militare statunitense a guardia dell’aeroporto e le migliaia di civili che hanno bloccato le piste per tentare di fuggire dal Paese, Pontecorvo ha deciso di non partire insieme ai diplomatici italiani con il volo di rientro atterrato ieri, diventando il vero punto di riferimento organizzativo per il personale dei Paesi Nato presenti a Kabul. Secondo fonti militari sul posto, un aereo sarebbe pronto a partire già nella serata di domenica 22 agosto per portarlo in Kuwait, ma è possibile che le difficili circostanze lo spingano a rinviare ancora la sua partenza dall’Afghanistan.